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Fulvio Capezzuoli

Nel nome della donna

La nascita dello scontro tra Islam e Cristianesimo
Il romanzo della prima donna medico della Storia
Un romanzo sul Medioevo per parlare della storia di oggi

in libreria
febbraio 2015
Narrativa
216 pagg.
ISBN: 9788890926334

15,00 euro

ACQUISTA LIBRO
(al prezzo scontato di 13,00 euro)

 

 

 

L'Autore

 

Rassegna stampa

OkRadio
Laura Defendi
intervista
Fulvio Capezzuoli
nella trasmissione
Break News
9 ottobre 2015
(guarda)

Milano nera
Patrizia Debicke
"Nel nome della donna"
4 agosto 2015
(leggi)

Visum
Cristiano Felice
"Nel nome della donna"
28 luglio 2015
(leggi)

Economia italiana.it
Massimo Mistero
"Nel nome della donna. Ma siamo nel 1090"
16 marzo 2015
(leggi)

Radio Rai2
Natascha Lusenti e Francesca Fornario intervistano Fulvio Capezzuoli nella trasmissione
Ovunque6
7 marzo 2015

 

Presentazioni

Milano
Libreria Les Mots
via Carmagnola angolo via Pepe
4 marzo 2016
ore 18.30

Anno 1090 dell’era moderna. Terminato il periodo di praticantato Caterina riceve la proposta di insegnare alla Scuola Medica di Salerno, dalla quale il suo maestro Afflacius si è allontanato perché un tempo, prima della conversione, era musulmano. Sono gli anni in cui le guerre per la conquista del Santo Sepolcro interrompono la collaborazione tra culture diverse: da questo momento i musulmani diventano “gli infedeli” e tutto il lavoro che per secoli ha portato cristiani, musulmani, ebrei e laici a operare per la crescita della scienza medica, si interrompe. Anna, figlia di Caterina, seguirà le orme della madre, ma ormai lo scontro tra Islam e Cristianesimo è esploso e il tentativo di far dialogare culture diverse diventa la lotta della sua vita.
Nel nome della donna è un affresco storico che mescola personaggi realmente esistiti e di finzione, e pur collocandosi a cavallo fra l’XI e il XII secolo, affronta tematiche più che mai attuali.

 

«Anna sta scrivendo un libro.» Lo disse in fretta, quasi a liberarsi di un peso, di una storia spiacevole.
«Questo lo so, è il libro sull’anatomia che aveva iniziato sua madre e che lei ha deciso di completare. Qual è il problema?»
Il prior abbassò la voce, come se non avesse voluto che qualcuno ascoltasse quel dialogo: «Ma lo sta scrivendo anche in arabo.»
«So anche questo. Ha deciso, e mi ha trovato d’accordo, che l’opera avrà due versioni, quella in latino, per gli insegnanti e gli studenti della Scuola, e quella in arabo per la biblioteca.»
«La biblioteca non inserirà mai un testo in arabo nel suo catalogo.»
«Per quale ragione? Uno studioso che conoscesse l’arabo e non il latino sarebbe privato della possibilità di accedere a un testo che, se il corpo insegnante lo reputasse valido, darebbe informazioni importanti su una materia di studio. Non voglio fare paragoni irriverenti, ma il Kitab-al-maliki è un testo fondamentale per la biblioteca della Scuola, ed è scritto in arabo.»
«Il libro che tu citi...» sembrava non volerne neppure pronunciare il nome, «non è più consultabile.»
Robert era allibito. «Da quando?»
«Dopo che il Santo Sepolcro è stato liberato da Goffredo di Buglione e da altri nobili cavalieri, papa Pasquale II ha deciso che tutto ciò che riconduce al mondo degli infedeli deve essere bandito dalla nostra cultura. Da un anno la biblioteca della Scuola è gestita da un reverendo padre benedettino che si occupa di valutare tutte le richieste di accesso ai testi.»

 

L'Autore
Fulvio Capezzuoli, milanese, è critico cinematografico e collaboratore della Fondazione Cineteca Italiana. Ha pubblicato Il sapore della bellezza (2002), L’estasi e il Tormento (2006), Locarno mon amour (2008), Al di là dell’oceano (2010). Gli anni del sole stanco (2008) ha vinto il Premio Letterario Città di Castello. Nel novembre 2014 è uscito il suo primo romanzo poliziesco, Milano 1946, delitti a Città Studi.

 

PER LA BELLEZZA E LA CIVILTÀ
di Iacopo Adami

Caterina, Roberto, Anna. Tre personaggi, tre punti di vista, attraverso i quali Fulvio Capezzuoli racconta le vicende di un’ipotetica famiglia di medici vissuta tra l’XI e il XII secolo. Sullo sfondo, le Crociate, il decadimento della città di Amalfi e quello della Scuola Salernitana, all’interno della quale, almeno inizialmente, si era assistito a un virtuoso esempio di interazione culturale. Inoltre: Parigi, le lezioni di Pierre Abelard e il suo amore con Héloïse D’Argenteuil, i melodiosi carmina di Hugo d’Orleans, le illusioni e l’aggressività patetica di Roberto II detto Cortacoscia…

In Nel nome della donna realtà e fiction si fondono armoniosamente, come due parti complementari di uno stesso discorso.
Un esempio di ciò è rappresentato dal rapporto tra Caterina Fugardi (personaggio immaginario) e il suo maestro Johannes Afflacius (figura storica realmente esistita) presso la sopracitata Scuola Salernitana. Lo spirito determinato e combattivo della prima trova, infatti, linfa vitale nei racconti e negli insegnamenti di quest’ultimo. Caterina non si rassegna al fatto che i tempi stanno cambiando e lo spirito di collaborazione che prima contraddistingueva i rapporti tra la cultura cattolica e quella musulmana inizia a dissolversi, a causa di quelli che lo stesso Afflacius definisce jihad cristiani.

In realtà, Caterina ha già vissuto un forte disincanto durante il suo periodo di praticantato ad Amalfi, durante il quale scopre che gran parte dell’economia della città è sorretta dal commercio di eunuchi, che la Scuola non condanna, ma, anzi, segretamente incentiva in quanto essa riceve numerose donazioni da parte di quelle famiglie nobili, che su tali traffici lucrano. Sicché i medici sono chiamati a castrare i bambini, che andranno poi a rinfoltire le fila dei guardiani di harem o precettori presso i palazzi degli emiri saraceni. Caterina rifiuta di prestarsi a ciò, così come, tornata a Salerno, rifiuta di restare in silenzio di fronte a tale scandalo. A questo proposito, Afflacius le dirà: “[…] cercheranno di farti tacere, ma il tuo coraggio ti consentirà di parlare con gli studenti, con gli altri insegnanti, con i malati, e di mostrare a tutti costoro che qualcuno è capace di ribellarsi alle convenzioni, al quieto vivere, al tanto fanno tutti così”.

Ad Amalfi, dunque, Caterina conosce ed è costretta a fare una scelta radicale e coraggiosa. La stessa che compirà sua figlia Anna, nata dalla relazione col normanno Robert, nel momento in cui deciderà di trasferirsi a Parigi per seguire le lezioni di Pierre Abelard. Qui, anch’ella vivrà un evento traumatico – la castrazione del suo insegnante da parte di due sicari assoldati dal monsignor Flubert, adirato a causa della gravidanza contratta dalla nipote Héloïse, di cui è ‘reo’ il filosofo. Ma nei due anni trascorsi presso la collina di Sainte Gèneviéve ha imparato l’arte dialettica e la logica, sicché è pronta per sostenere lo scontro col prior e il bibliotecario della Scuola Salernitana – rispettivamente: Francesco Beneventano e Tibaldo di Citeaux – rappresentanti del potere.

Un romanzo storico che ci racconta di oggi
Nonostante il romanzo sia ambientato tra il 1090 e il 1120 d.C., è evidente il collegamento delle vicende trattate con la nostra epoca. Uno dei temi su cui Capezzuoli vuole farci riflettere è, infatti, l’incontro/scontro tra civiltà. Oggi, ancora una volta, l’Occidente si trova a fare i conti col Medio Oriente. Basti pensare allo sterminio di palestinesi in atto dal 1948, alla guerra del Golfo, a quella in Afghanistan, all’ultima in Iraq, alle cosiddette primavere arabe, all’Isis e, come dice il proverbio, chi più ne ha più ne metta. I flussi migratori continuano ad aumentare, mentre si assiste a una nuova ondata di xenofobia, fomentata, in Italia, anche da partiti come quello di Salvini. Pare così non ci sia soluzione: siamo condannati a massacrare e farci massacrare, fino a quando l’ultima goccia di petrolio non andrà esaurita. Allora, forse, troveremo un’altra scusa. Ma è veramente così? Ci siamo davvero spinti a un punto tale da rendere inimmaginabile la creazione di realtà, come quella della Scuola Salernitana (almeno all’inizio della sua storia), in cui più culture trovino un terreno comune su cui confrontarsi e collaborare, in nome di un universalismo dialogico (1)?

Parlando delle rovine di Paestum, il padre di Caterina, Michele, ci offre, se non una soluzione, almeno una speranza: “Voi ora guardate con stupore la maestosità che emana da quel luogo e che contrasta con le modeste costruzioni che vi circondano che, giustamente, non hanno attirato la vostra attenzione. La storia è un alternarsi di successi e di sconfitte, di grandi conquiste e di miserie, di civiltà e di barbarie. Ma la vista di quei monumenti ci deve ricordare, anche nei tempi difficili che viviamo, la capacità che l’uomo ha sempre avuto di lasciare importanti tracce di sé”. Afflacius risponde: “E noi che le ammiriamo, dobbiamo utilizzarle anche per trovare la forza di proseguire quei percorsi di bellezza e civiltà”. Viene in mente il discorso di Latouche sull’alternativa insindacabile tra eco-socialismo o barbarie, intesa quest’ultima, nel nostro caso, anche come quell’ottundimento delle coscienze praticato dall’ideologia consumista, che Pasolini definiva Nuovo Medioevo. Ma, se la bellezza e la civiltà sono ancora raggiungibili, in che modo è possibile farlo?

Ce lo spiega Anna, che si reca alla scuola di Pierre Abelard proprio per acquisire quegli strumenti che le consentiranno di opporsi trionfalmente al potere: “Io sto scrivendo il libro che aveva cominciato mia madre e ne sto facendo una copia in arabo. Come ha detto Robert, non esistono stirpi malvagie e stirpi buone. Io credo che scambiare le nostre conoscenze con stirpi diverse, sia un modo per migliorarci e per migliorare gli altri. Non mi importa se alla Scuola non sono d’accordo, perché continuerò a lavorare in questo senso”. Mai rassegnarsi allo status quo, dunque, ma studiare e lottare, in modo da cambiarlo.

Il tema dello studio come preparazione a un combattimento è, infatti, centrale, tanto che un intero capitolo si intitola in questo modo. È lo stesso motivo per cui anche Arnaldo da Brescia (altro personaggio storico realmente esistito, che ha portato avanti numerose battaglie contro le gerarchie ecclesiastiche) si trova alla scuola di Abelard. Sicché diventa chiaro come la conoscenza sia un elemento imprescindibile per chiunque si proponga di svelare la realtà nascosta dietro l’etica ufficiale di qualsiasi regime. A questo proposito, è indicativo che Caterina inizi a frequentare Robert insegnandogli l’arabo, e Anna conosca colui che diventerà poi il suo compagno, Hugo d’Orleans, per istruirlo al latino.

Inoltre, va ricordato che il simbolo utilizzato per esprimere la coesistenza armoniosa tra civiltà differenti per cultura e religione è proprio un libro, il Kitab al-Maliki, scritto da Isaac Israeli ben Solomon, tradotto in latino da Costantino l’Africano e in arabo da Ibn al-Abbas al-Magusi Nel momento in cui i rapporti coi saraceni si incrinano, dalla biblioteca della Scuola Salernitana viene bandita quest’ultima versione. Una sorte simile tocca al trattato De Anathomia, iniziato a scrivere da Caterina e concluso poi da Anna. In questo caso, però, anche il testo in latino viene censurato, dacché, secondo Tibaldo di Citeaux, “[…] l’intero libro può indurre il lettore nel peccato, è la sua struttura che indica come l’autore, nel crearlo, non fosse assistito da Dio”. Parole pronunciate con veemenza, nonostante, poche righe più avanti, in risposta alla domanda posta dal praeses Niccolò Salernitano (“Ma voi almeno, l’avete letto?”), il chierico ammetta: “Non occorre leggere certe opere per capire se il demonio è celato o meno fra le loro pagine. Basta analizzare gli autori e i loro comportamenti. Qualunque libro di Anna Drengot dovrebbe essere bandito. Fin da giovane ha avuto quei contatti epistolari che citavo, con Pierre Abelard”. Viene così alla luce il vero motivo per cui si vuole impedire ad Anna l’accesso alla Scuola. Non c’è posto, infatti, nelle istituzioni per i contestatori del potere. Tuttavia, grazie agli insegnamenti impartitele dal filosofo e all’aiuto di Niccolò Salernitano, Anna riesce a far reintegrare il De Anathomia tra i testi consultabili nella biblioteca della Scuola, almeno nella sua versione in latino.
Conoscenza: 1 – Potere: 0. Palla al centro.

Una catena senza anelli deboli
Come ha spiegato lo stesso Fulvio Capezzuoli alla presentazione del romanzo organizzata in occasione dell’evento La furia dei libri, presso la biblioteca Chiesa Rossa, a Milano, il 13 giugno scorso, l’idea per questo romanzo gli è stata ispirata dal nome di Trotula de Ruggero notato su una via di Salerno. Ella fu, infatti, la prima mulier Salernitanae di cui si abbia notizia, autrice del trattato De passionibus mulierum ante in et post partum, che fu per secoli il testo di riferimento nell’ambito dell’ostetricia e della ginecologia. Stupito del fatto che una donna – seppur di estrazione privilegiata – potesse divenire medico nell’XI secolo, inizia a compiere le sue ricerche sulla Scuola Salernitana, scoprendo una realtà moderna e democratica, fattore sorprendente, se si pensa a ciò che ci viene comunemente insegnato riguardo all’epoca ‘buia’ dell’Alto Medioevo. Fondata, come vuole la leggenda, da un greco (laico), un cattolico, un musulmano e un ebreo, la Scuola Salernitana rappresenta, perciò, una catena senza anelli deboli. Qui, anche le donne possono studiare, insegnare e scambiare conoscenze con gli uomini, che le considerano loro pari. Il sapere medico diventa così il fine comune, in grado di trascendere qualsivoglia inclinazione esclusivista. Un altro elemento che dovrebbe farci riflettere sulla situazione attuale e, in particolare, sul ruolo che la donna gioca all’interno della vita pubblica e privata.

 

1) Cfr. Costanzo Preve, Del buon uso dell’universalismo. Elementi di filosofia politica per il XXI secolo

 

 

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