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Nel nome della
donna La nascita dello scontro tra Islam e Cristianesimo |
in
libreria 15,00 euro ACQUISTA
LIBRO
Rassegna stampa OkRadio Milano nera Visum Economia italiana.it Radio Rai2
Presentazioni Milano |
Anno 1090
dell’era moderna. Terminato il periodo di praticantato Caterina
riceve la proposta di insegnare alla Scuola Medica di Salerno, dalla
quale il suo maestro Afflacius si è allontanato perché
un tempo, prima della conversione, era musulmano. Sono gli anni in
cui le guerre per la conquista del Santo Sepolcro interrompono la
collaborazione tra culture diverse: da questo momento i musulmani
diventano “gli infedeli” e tutto il lavoro che per secoli
ha portato cristiani, musulmani, ebrei e laici a operare per la crescita
della scienza medica, si interrompe. Anna, figlia di Caterina, seguirà
le orme della madre, ma ormai lo scontro tra Islam e Cristianesimo
è esploso e il tentativo di far dialogare culture diverse diventa
la lotta della sua vita.
«Anna sta scrivendo un libro.» Lo
disse in fretta, quasi a liberarsi di un peso, di una storia spiacevole.
L'Autore
PER LA BELLEZZA E LA
CIVILTÀ Caterina, Roberto, Anna. Tre personaggi, tre punti di vista, attraverso i quali Fulvio Capezzuoli racconta le vicende di un’ipotetica famiglia di medici vissuta tra l’XI e il XII secolo. Sullo sfondo, le Crociate, il decadimento della città di Amalfi e quello della Scuola Salernitana, all’interno della quale, almeno inizialmente, si era assistito a un virtuoso esempio di interazione culturale. Inoltre: Parigi, le lezioni di Pierre Abelard e il suo amore con Héloïse D’Argenteuil, i melodiosi carmina di Hugo d’Orleans, le illusioni e l’aggressività patetica di Roberto II detto Cortacoscia… In Nel nome della donna realtà e
fiction si fondono armoniosamente, come due parti complementari di
uno stesso discorso. In realtà, Caterina ha già vissuto un forte disincanto durante il suo periodo di praticantato ad Amalfi, durante il quale scopre che gran parte dell’economia della città è sorretta dal commercio di eunuchi, che la Scuola non condanna, ma, anzi, segretamente incentiva in quanto essa riceve numerose donazioni da parte di quelle famiglie nobili, che su tali traffici lucrano. Sicché i medici sono chiamati a castrare i bambini, che andranno poi a rinfoltire le fila dei guardiani di harem o precettori presso i palazzi degli emiri saraceni. Caterina rifiuta di prestarsi a ciò, così come, tornata a Salerno, rifiuta di restare in silenzio di fronte a tale scandalo. A questo proposito, Afflacius le dirà: “[…] cercheranno di farti tacere, ma il tuo coraggio ti consentirà di parlare con gli studenti, con gli altri insegnanti, con i malati, e di mostrare a tutti costoro che qualcuno è capace di ribellarsi alle convenzioni, al quieto vivere, al tanto fanno tutti così”. Ad Amalfi, dunque, Caterina conosce ed è costretta a fare una scelta radicale e coraggiosa. La stessa che compirà sua figlia Anna, nata dalla relazione col normanno Robert, nel momento in cui deciderà di trasferirsi a Parigi per seguire le lezioni di Pierre Abelard. Qui, anch’ella vivrà un evento traumatico – la castrazione del suo insegnante da parte di due sicari assoldati dal monsignor Flubert, adirato a causa della gravidanza contratta dalla nipote Héloïse, di cui è ‘reo’ il filosofo. Ma nei due anni trascorsi presso la collina di Sainte Gèneviéve ha imparato l’arte dialettica e la logica, sicché è pronta per sostenere lo scontro col prior e il bibliotecario della Scuola Salernitana – rispettivamente: Francesco Beneventano e Tibaldo di Citeaux – rappresentanti del potere. Un romanzo storico che ci racconta di oggi Parlando delle rovine di Paestum, il padre di Caterina, Michele, ci offre, se non una soluzione, almeno una speranza: “Voi ora guardate con stupore la maestosità che emana da quel luogo e che contrasta con le modeste costruzioni che vi circondano che, giustamente, non hanno attirato la vostra attenzione. La storia è un alternarsi di successi e di sconfitte, di grandi conquiste e di miserie, di civiltà e di barbarie. Ma la vista di quei monumenti ci deve ricordare, anche nei tempi difficili che viviamo, la capacità che l’uomo ha sempre avuto di lasciare importanti tracce di sé”. Afflacius risponde: “E noi che le ammiriamo, dobbiamo utilizzarle anche per trovare la forza di proseguire quei percorsi di bellezza e civiltà”. Viene in mente il discorso di Latouche sull’alternativa insindacabile tra eco-socialismo o barbarie, intesa quest’ultima, nel nostro caso, anche come quell’ottundimento delle coscienze praticato dall’ideologia consumista, che Pasolini definiva Nuovo Medioevo. Ma, se la bellezza e la civiltà sono ancora raggiungibili, in che modo è possibile farlo? Ce lo spiega Anna, che si reca alla scuola di Pierre Abelard proprio per acquisire quegli strumenti che le consentiranno di opporsi trionfalmente al potere: “Io sto scrivendo il libro che aveva cominciato mia madre e ne sto facendo una copia in arabo. Come ha detto Robert, non esistono stirpi malvagie e stirpi buone. Io credo che scambiare le nostre conoscenze con stirpi diverse, sia un modo per migliorarci e per migliorare gli altri. Non mi importa se alla Scuola non sono d’accordo, perché continuerò a lavorare in questo senso”. Mai rassegnarsi allo status quo, dunque, ma studiare e lottare, in modo da cambiarlo. Il tema dello studio come preparazione a un combattimento è, infatti, centrale, tanto che un intero capitolo si intitola in questo modo. È lo stesso motivo per cui anche Arnaldo da Brescia (altro personaggio storico realmente esistito, che ha portato avanti numerose battaglie contro le gerarchie ecclesiastiche) si trova alla scuola di Abelard. Sicché diventa chiaro come la conoscenza sia un elemento imprescindibile per chiunque si proponga di svelare la realtà nascosta dietro l’etica ufficiale di qualsiasi regime. A questo proposito, è indicativo che Caterina inizi a frequentare Robert insegnandogli l’arabo, e Anna conosca colui che diventerà poi il suo compagno, Hugo d’Orleans, per istruirlo al latino. Inoltre, va ricordato che il simbolo utilizzato
per esprimere la coesistenza armoniosa tra civiltà differenti
per cultura e religione è proprio un libro, il Kitab al-Maliki,
scritto da Isaac Israeli ben Solomon, tradotto in latino da Costantino
l’Africano e in arabo da Ibn al-Abbas al-Magusi Nel momento
in cui i rapporti coi saraceni si incrinano, dalla biblioteca della
Scuola Salernitana viene bandita quest’ultima versione. Una
sorte simile tocca al trattato De Anathomia, iniziato a scrivere
da Caterina e concluso poi da Anna. In questo caso, però, anche
il testo in latino viene censurato, dacché, secondo Tibaldo
di Citeaux, “[…] l’intero libro può indurre
il lettore nel peccato, è la sua struttura che indica come
l’autore, nel crearlo, non fosse assistito da Dio”. Parole
pronunciate con veemenza, nonostante, poche righe più avanti,
in risposta alla domanda posta dal praeses Niccolò Salernitano
(“Ma voi almeno, l’avete letto?”), il chierico ammetta:
“Non occorre leggere certe opere per capire se il demonio è
celato o meno fra le loro pagine. Basta analizzare gli autori e i
loro comportamenti. Qualunque libro di Anna Drengot dovrebbe essere
bandito. Fin da giovane ha avuto quei contatti epistolari che citavo,
con Pierre Abelard”. Viene così alla luce il vero motivo
per cui si vuole impedire ad Anna l’accesso alla Scuola. Non
c’è posto, infatti, nelle istituzioni per i contestatori
del potere. Tuttavia, grazie agli insegnamenti impartitele dal filosofo
e all’aiuto di Niccolò Salernitano, Anna riesce a far
reintegrare il De Anathomia tra i testi consultabili nella
biblioteca della Scuola, almeno nella sua versione in latino. Una catena senza anelli deboli
1) Cfr. Costanzo Preve, Del buon uso dell’universalismo. Elementi di filosofia politica per il XXI secolo
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