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Rue Monte au Ciel (Traduzione di Lea Oliveri)
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2017 14,00 euro
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Suzanne Dracius presenta (from Lara Peviani on YouTube)
Uscito in Francia nel 2003, Rue Monte au Ciel comprende nove racconti, disuguali per ambientazione, consistenza e datazione, ma organicamente accomunati da una serie di elementi che riescono a creare un universo coerente. Con questa raccolta, Suzanne Dracius si riallaccia, per i contenuti e per il linguaggio, alla grande tradizione caraibica del racconto orale. In tutte le novelle emerge una figura femminile colta di fronte a un incontro o un evento inatteso, minaccioso o degradante, che lei riesce però a fronteggiare dando prova di coraggio, autodeterminazione e volontà di sottrarsi alle costrizioni morali e sociali imposte alla donna. Le eroine descritte in questo libro rappresentano altrettanti archetipi della donna delle Antille, combattuta tra il desiderio di emanciparsi, come donna e come meticcia, e l’esigenza di non essere emarginata dal proprio contesto socio-culturale.
L'Autrice
Intervista a Suzanne Dracius di Arts Caribbean, settembre 2003 Sicuramente: sono legati da un tema. Rue Monte au Ciel è composto da nove variazioni sul tema della liberazione, della salvezza e della trasgressione dei divieti. Naturalmente non stiamo parlando di fughe dovute a vigliaccheria, ma di qualcosa di deciso, di determinato: di una forma di coraggio. Sistematicamente, un'eroina dei Caraibi è posta al centro di ogni vicenda. Ognuna di queste donne si ritrova più o meno esposta a un pericolo; sia che si tratti di una minaccia dalla quale deve fuggire, come accade a Léona, nel primo racconto Il suo destino in Rue Monte au Ciel, che vive a Saint-Pierre nel 1902, la mattina dell'8 maggio, poco prima del disastro causato della eruzione del Monte Pelée. Oppure che si tratti di affrontare un conflitto dovuto alla noia dalla quale deve districarsi, come accade a Emma nel secondo racconto. O ancora ritroviamo un personaggio del mio primo romanzo, L'altra che danza: nel racconto L'anima gemella, dove Mathildana fa un incontro che cambierà il suo destino. Nella scena di Edipo in treno, invece, il protagonista deve risolvere le proprie contraddizioni sociali, familiari o coniugali. Leggendo alcuni passaggi di questi racconti, da come descrive i fatti, si ha come l'impressione che lei abbia vissuto la schiavitù sulla sua pelle? Non è del tutto falso; mi è capitato sovente di avere i sudori freddi vivendo, anche se può sembrare sorprendente, quel fenomeno chiamato palingenesi. Per esempio, durante una mostra al Lamentin, dentro la riproduzione della stiva di una nave di schiavi. Quando sono entrata, gli effetti sonori erano talmente spaventosi che ho davvero avuto la sensazione di vivere quella traversata, l'impressione di attraversare veramente Goree Island, la porta del non ritorno. In quanto meticcia, anche se in realtà io sono calazaza1 è certo che io abbia degli antenati che hanno vissuto la schiavitù. È dunque una memoria che porto dentro di me, ovviamente alimentata da fenomeni culturali, dalle mie letture o dalle ricerche storiche che ho svolto. Tutto questo passato alimenta la mia scrittura. Infatti nutro un grande orgoglio per i miei antenati schiavi che hanno dato vita alla popolazione che noi siamo oggi. Mi riferisco alla resistenza degli "schiavi in fuga", che sono stati per così tanto tempo demonizzati e disprezzati. Non dobbiamo far dimenticare la memoria della schiavitù, perché la gente che si disinteressa del proprio passato, che tiene l'occhio fisso solo sul presente o sul futuro prossimo, crea un popolo senza futuro. Con la mia scrittura io pratico una forma di marronage2 letterario che è anche un inno al métissage, all'incrocio tra razze, dal momento che al giorno d'oggi esistono ancora varie forme moderne di schiavitù. Assorbo le sofferenze che non sono necessariamente le mie, ma che provengono dallo “spettacolo dei miei contemporanei”. Ci può parlare del quarto racconto, La Virago, senza però entrare nei dettagli per non rovinare la sorpresa al lettore? Ha un finale sorprendente, come gli altri otto. Abbiamo un'azione frenetica del tutto contemporanea che mette in scena la virago, che è sia una persona che un veicolo, questa moto della Yamaha. Si scopre che il veicolo si chiama Virago, parola latina che significa "donna mascolina". Questo personaggio enigmatico incarna un maschio-femmina con la mentalità di un uomo che non si lascia sottomettere. Nel mondo di oggi, può essere che ci si senta a torto attaccati, che capiti di avere una visione di persone totalmente falsa rispetto alla realtà. Ma il racconto è anche una favola sulla famosa insicurezza, una metafora sulla relazione tra i sessi che assume il portamento di un racconto riannodandosi con la tradizione del racconto antillano. La Virago prende spunto da un elemento autobiografico, una scena vivente di un mondo moderno dove è difficile comunicare. Cosa potrebbe spingere una donna martinicana a leggere il tuo libro? Molte cose! Nelle numerose lettere che ho già ricevuto, i miei lettori dicono di amare particolarmente la mia lingua mista, il “Latino creolo", il francese in cui entro, come in un'abitazione offerta. Le martinicane dovrebbe apprezzare la mescolanza di generi: miscela di gravità e di assurdità, umorismo e sensualità. Troveranno anche i segreti della donna, come il piacere femminile con i suoi preliminari, in contrasto con il piacere maschile.
Note |