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Altri destini Il romanzo sul processo 7
aprile |
2011
14,00 euro
Rassegna stampa Scrittura informa Temperamente Il Cittadino di Monza e Bianza Il manifesto La Voce delle Voci Radio Sherwood
Altri titoli in catalogo
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Dal casuale
ritrovamento in un armadio di un maglione sporco di sangue, inizia
il viaggio a ritroso nel tempo dell’introverso e disimpegnato
Roman Zeri; un viaggio che lo porta a indagare sulla vita di suo padre
Max, coraggioso direttore di un settimanale indipendente, e sugli
oscuri motivi che lo hanno scaraventato in una storia kafkiana fatta
di arresti, interrogatori e processi. Un susseguirsi di colpi di scena
scandisce il percorso, anche interiore, di Roman, il quale, scartabellando
tra vecchi documenti, fotografie del passato e ritagli di giornali,
entra in contatto con una realtà che fino a quel momento aveva
ritenuto impensabile. Sullo sfondo della vicenda, la nostra Storia,
quella tragica e tuttora irrisolta degli “anni di piombo”,
delle manifestazioni, degli scontri con le forze dell’ordine,
del “terrorismo”, delle bugie di Stato, del processo “7
aprile”, della violenza che ha stravolto le vite di tutti. E
cambiata risulterà anche l’esistenza di Roman, la sua
visione del mondo, la prospettiva con la quale guarderà al
suo futuro, tanto da esclamare, al culmine di una profonda crisi di
coscienza: «Non si sta bene sotto le coperte calde dell’ignoranza.» "Di notte scendevo in strada a correre.
Sentivo i miei piedi pestare l’asfalto. Da anni non riuscivo
più a dormire. All’improvviso, la mente non era stata
più in grado di lasciarsi andare. «È di ordine
psicologico» mi aveva detto mia madre. Aveva intuito che l’insonnia
era dovuta all’arresto di mio padre.
L’Autore:
Walter G. Pozzi (Monza, 1962) è
scrittore, sceneggiatore e insegnante di Scrittura creativa.
Intervista
all’Autore Con i tuoi
primi due romanzi, Il corpo e l’abbandono e L’infedeltà,
ci avevi abituato a una dimensione del romanzo quasi intimista, dove
la tua attenzione era puntata sulla vita interiore, a volte segreta
dei vari personaggi; un’indagine psicologica tesa a scandagliare,
con fredda determinazione, i comportamenti dei tuoi protagonisti.
Nel nuovo lavoro tutto questo viene diluito in una visione più
ampia; la piccola storia (“piccola” intesa come personale)
di singoli individui, inserita nel crogiolo della grande Storia, quella
con la maiuscola, la storia di una nazione, di un’epoca, dell’intera
umanità. Un cambiamento di rotta, questo, che i lettori non
potranno non cogliere. È solo una parentesi la tua oppure è
cambiato qualcosa in te, come scrittore e ancor prima come uomo? Ne Il corpo e l’abbandono il giovane protagonista malato e destinato alla morte è costretto a uno stringente confronto con l’idea della propria scomparsa. Il corpo è diventato improvvisamente la sua prigione; una struttura detentiva priva di carcerieri e di sbarre nella quale non esistono verità in grado di garantire un conforto. Si muore, e basta. L’antagonista è la condizione umana che relega l’individuo in un contenitore di carne, muscoli e nervi, ponendolo in balia dei suoi funzionamenti. Il romanzo seguente, L’infedeltà, sposta l’attenzione su un altro tipo di prigione, quella del condizionamento sociale. I personaggi, due coppie di innamorati, vivono nella necessità di compiere delle scelte, esattamente come accade a chiunque di noi. Passano gli anni, e un giorno si accorgono di avere sbagliato tutto. Nasce allora un confronto con se stessi, e con gli altri, che sfocia nell’analisi del concetto di infedeltà (intesa nella sua accezione più vasta); quella zona d’ombra in cui sono costretti a muoversi, per sopravvivere, tutti gli esseri umani nel confronto con l’altro. L’infedeltà quindi diventa un modo di evadere dalla prigione dei condizionamenti sociali ed etici che, con la loro pressione, conducono a scelte obbligate. Che so, mi viene a mente, come esempio, l’istituzione familiare. In questo senso Altri destini diviene una sorta di compimento delle tematiche già espresse nei precedenti due romanzi. È la Storia, come dicevi tu, a entrare prepotentemente nella vita dei personaggi, schiacciandoli senza pietà. Il carcere di massima sicurezza in cui viene rinchiuso Max Zeri, diventa una reclusione fisica, ma soprattutto mentale. Qualcosa di più della malattia che affliggeva il personaggio de Il corpo e l’abbandono, durante la quale, almeno, era padrone di riflettere liberamente su di sé e sugli altri. In Altri destini però ritengo sia importante comprendere gli argomenti nascosti attraverso i quali le moderne forme occidentali di potere occupano gli spazi, anche i più intimi e personali, dell’individuo. E per farlo occorre seguire un percorso a ritroso che affonda nell’essenza stessa del sapere umano e che solamente chi scrive può intraprendere ed evidenziare. Il primo passo è la denuncia di quella che io chiamo la “presa del Vocabolario”. Ogni forma di potere, nell’ambito di ciò che definiamo con molta leggerezza “società democratica”, per prima cosa s’impossessa del linguaggio, attribuendo i significati a concetti astratti quali Libertà, Democrazia, Famiglia, Patria, Guerra, Pace, Cultura. Senza che ce ne accorgiamo, vengono cambiate le definizioni di parole che rappresentano le colonne portanti del vivere quotidiano, archetipi di fronte ai quali qualunque discussione viene impedita. Così che la parola possa essere utilizzata per nascondere i concetti, invece di rivelarli. Consultando un vecchio vocabolario, mi sono divertito a notare il cambiamento di significato del termine “idealisa” dal 1972 a oggi. Il confronto è stato particolarmente illuminante perché mi ha mostrato in che maniera, cambiando il significato alle parole si possa cambiare il senso del mondo. Nel 1972 l’idealista era un individuo “mosso da un alto fattore”; oggi è una persona che “insegue sogni irrealizzabili”. E su questo dovrebbe riflettere chi scrive, invece di perdere il proprio tempo su noiosissimi romanzi di genere. I protagonisti del tuo romanzo sono Max e
Roman Zeri. Padre e figlio. Leggendo velocemente il nome di quest’ultimo,
non può sfuggire l’assonanza con la parola “romanziere”.
Considerando che il lavoro di Max è il giornalismo e quello
di Roman la scrittura, viene da pensare che non si tratti di un caso. Tema centrale del libro è indubbiamente
la Memoria. La memoria vista come un esercizio da praticare
costantemente, per mantenere viva l’attenzione onde evitare
gli errori/orrori del passato. La memoria avvertita come un dovere
, come un sentire da tramandare, al pari di un testimone (che nome
azzeccato per un semplice bastoncino di legno!) di generazione in
generazione. Il tuo romanzo tratta di un periodo storico un po’
scomodo, raramente visitato in letteratura, quello dei cosiddetti
“anni di piombo”, del terrorismo, della teoria degli opposti
estremismi, argomento questo poco “nobile”, facilmente
travisabile rispetto a già metabolizzati momenti quali la Resistenza,
la Shoah ecc.; ecco, per te, che ruolo può avere la Memoria
in un’epoca difficile come la nostra, un’epoca in cui
sta prendendo pericolosamente piede la pratica del revisionismo storico
teso a negare orrori ampiamente documentati, a confondere le vittime
con i carnefici, a banalizzare e ridicolizzare la sofferenza e i destini
di milioni di individui stritolati dagli ingranaggi disumani della
Storia? Il revisionismo in fondo non è un’esclusiva di questa epoca ma un fenomeno prodotto dal concetto stesso di storia, dalla sua malleabilità e, di conseguenza, della sua interpretabilità. Sappiamo bene quanto la politica faccia uso dei paradigmi storici. Ciò non rappresenta necessariamente una buona ragione per non prendere posizione, e per chi scrive il modo migliore per farlo consiste nel ripercorrere i fatti, mostrandoli così come sono avvenuti. E poi, a chi tocca il compito della memoria? La risposta in Altri destini è: ai Roman Zeri. Se devo sapere cos’è stato il fascismo leggerò dei saggi storici, ma mi affiderò anche ai romanzi dell’epoca. Leggerò Cronache di poveri amanti di Pratolini, Il partigiano Johnny di Fenoglio… Il buon romanzo ha la forza di puntare il proprio fascio di luce sull’uomo tenendone sotto controllo la temperatura. In realtà, la letteratura è l’unica vera forma di coscienza dell’umanità, una possibilità per essa di specchiarsi, creare analogie e accorgersi del suo stato. Il check-up che gli permette di curarsi prima che sia troppo tardi. Per questo ritengo che in futuro avremo sempre più bisogno della narrativa. Non di tutta, certamente; e nella ricerca dei buoni libri di sicuro non ci aiuterà il prepotente affermarsi dell’industria editoriale con il suo asservimento alle dinamiche commerciali. Ma chi vorrà sapere avrà modo di soddisfare il proprio bisogno. Per cui la morte del romanzo è ancora
molto lontana. In molti mi hanno chiesto perché scrivere
oggi un romanzo sugli anni Settanta. Un’osservazione del genere
denota proprio l’idea che su quel periodo la storia abbia ormai
detto tutto. Ma nel momento in cui Gasparri può in Parlamento
auspicare un nuovo processo 7 aprile (tra l’altro collocandolo
nel 1978, invece che l’anno seguente), senza sollevare indignazione
né nel mondo politico né in quello intellettuale, capiamo
fino a che punto l’Italia sia un Paese incapace di fare i conti
con la propria storia; nonché il livello di ignoranza, se non
di malafede, in cui vive l’intellettualità ufficiale.
Ecco perché pubblicare un romanzo su quel periodo. Altri
destini mostra proprio quale funzione svolgano processi come
quello del 7 aprile 1979. Già nel 2001, dopo i tragici giorni
del G8 di Genova, ma ancora oggi, se si pensa alle proteste degli
studenti a Roma, è emerso il tanto preoccupante quanto incomprensibile
silenzio, salvo pochissime eccezioni sorte dal mondo della cultura
non ufficiale, di un’intera classe di artisti e intellettuali
del nostro Paese. Un silenzio che pesa come un macigno vista la portata
dei recenti provvedimenti che vanno a incidere su tutti gli ambiti
della nostra vita comunitaria: dalla cultura alla giustizia, dalla
sanità alla scuola, dai servizi sociali all’esercizio
dei più elementari diritti individuali. Cosa ne pensi del ruolo
degli intellettuali in una società come la nostra? È
lecito che uno scrittore si rinchiuda nel suo piccolo mondo e si limiti
a scrutare l’esterno con una sorta di distacco o ha il dovere
morale di intervenire, di denunciare all’occorrenza, di essere
testimone e coscienza critica della sua gente? I protagonisti della cultura italiana sono fondamentalmente cortigiani. Ma per fortuna esistono anche scrittori che dissentono dalle dinamiche del potere, quale che esso sia; il problema è che non è dato loro modo di accedere ai grandi mezzi di comunicazione. L’ordine culturale è un nucleo serrato come un pugno, una sorta di corporazione alla quale si accede solamente passando dall’interno. Per questo li sentiamo insorgere quando vengono privati di un privilegio o quando viene attaccata la loro fazione. Non è così che può funzionare. L’intellettuale deve essere un nervo scoperto della società. Con un governo di destra deve porsi a sinistra, con un governo di sinistra deve stare ancora più a sinistra. Quali sono, secondo te, i doveri di un intellettuale? Per scrivere il tuo romanzo Altri destini,
avrai senz’altro passato molto tempo a scartabellare tra giornali
e documenti dell’epoca, a interrogare testimoni di quel periodo
della nostra storia. Quali sono state le tue emozioni, cos’hai
provato nello scoprire quei mondi sistematicamente banditi dai media,
autentici tabù come le pratiche disumane nelle carceri, le
torture in un Paese che si vanta di essere esempio di democrazia e
che anzi ha la presunzione di affermare, attraverso i suoi capi, l’esigenza
di esportarla anche imponendola con le armi? In Altri destini ho voluto evidenziare questa pratica pubblicando per intero un articolo uscito su un importante quotidiano nazionale il giorno dopo la repressione della rivolta in un noto carcere di massima sicurezza. Sul giornale non era però descritta la violenza usata dagli agenti su persone disarmate, inermi a già immobilizzate. Al contrario venivano esaltati “i ragazzi dei reparti speciali” addestrati a combattere senza uccidere, a usare proiettili di gomma, a fare del male solamente se costretti… La realtà poi era un po’ diversa, ma a quanto pare non doveva essere raccontata. Giusto così, tutto sommato. Tocca a Roman Zeri tornare sul luogo del delitto e restituire vita alla vita, attraverso la finzione. Un capitolo del libro, solo apparentemente
staccato dal resto della narrazione, è ambientato in una prigione
argentina, Paese in cui, all’epoca dei fatti raccontati, era
in atto una sanguinosa repressione da parte di una feroce dittatura
militare. Come a dire: stesso periodo storico, situazioni apparentemente
diverse, metodi simili. Forse non aveva affatto torto Fabrizio De
André quando in una delle sue più belle canzoni affermava
che “non esistono poteri buoni”. |