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Walter G. Pozzi

L'infedeltà

2000
Narrativa
260 pagg.

14,00 euro
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L’Autore

Intervista all’Autore

 

Rassegna stampa

La Repubblica veneta
L'infedeltà: amare per sempre, di Mattia Signorini
(leggi la recensione)

La Piazza (Rovigo)
L'infedeltà: dubbi e non,
di Lisa Viselli
(leggi la recensione)

Pickwick.it
L'infedeltà del “tutto”
(leggi la recensione)

Radio City Vicenza
L'infedeltà: l’inganno della coppia, di Alessandro Scandale
(leggi la recensione)

La Repubblica
Sull’amore del Duemila,
di Luciana Sica
(leggi la recensione)

Il Giorno
Quando l’infedeltà diventa letteratura, di Matteo Brizzi
(leggi la recensione)

Il Resto del Carlino
Un tessuto doloroso, di Rossella Martina
(leggi la recensione)

 

 

Altri titoli in catalogo

Altri destini

Il corpo e l'abbandono

Carte scoperte

Falso risveglio

 

Per inganno non s’intende necessariamente il tradimento, forse la minore menzogna possibile, ma piuttosto il gioco delle maschere.

Marzio e Chiara, David e Norma. Elena, Oscar. Amore e fedeltà. Infedeltà e amore. La logorante incertezza di un rapporto che si vorrebbe invariato negli anni. Il desiderio di una storia che possa continuare a rinnovare le emozioni degli inizi, e la consapevolezza della sua impossibilità. Il cinismo di chi crede nella periodicità degli amori. Il romanticismo inutile di chi si ostina a tenere in vita una relazione che ha perduto da tempo la freschezza originaria.
In questo suo lucido romanzo dalla trama mirabilmente orchestrata, Walter G. Pozzi fa un’analisi a tutto tondo delle relazioni amorose, scandagliando i più svariati e variabili atteggiamenti di chi vive, di chi ama, di chi crede di amare. Mano a mano che procede nella sua narrazione, Pozzi agita le acque, le rende sempre più torbide, fino ad annullare totalmente la trasparenza di coloro che considerano il rapporto a due come un monolito inscalfibile. Ed è così che i ruoli si ribaltano, inaspettatamente, spontaneamente, contro ogni rigido principio che nella realtà non trova mai una facile applicazione. Nel romanzo l’Autore non dà spazio e risposte o a dimostrazioni; l’unica tesi di qualche respiro è quella che avvalora l’ambiguità, della vita e dell’amore.

 

L’Autore: Walter G. Pozzi (Monza, 1962) è scrittore, sceneggiatore e insegnante di Scrittura creativa.
Ha pubblicato i romanzi: Il corpo e l’abbandono (Tranchida 1997 e 2000), L’infedeltà (Tranchida 2000), Altri destini (Tranchida 2003, Paginauno 2011) e, in collaborazione con altri autori, la collettanea di racconti Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo (Edizioni Alegre, 2011).


Intervista all’Autore

Come mai un romanzo sull’infedeltà?
Perché volevo scrivere una storia che entrasse, per quanto possibile, nelle profondità di quel curioso mistero che unisce due persone. E più lavoravo e più realizzavo che una delle costanti del vivere umano fosse caratterizzato da una fondamentale necessità di tradire, non solo la persona con cui abbiamo una relazione, ma anche se stessi. Da questo nasce il titolo, che non vuole essere né intrigante né fuorviante, come invece hanno affermato alcuni.

Eppure il titolo raggiunge il risultato di incuriosire e, ho notato poco prima in sala, che quando il dibattito si spostava in maniera specifica sul problema della fedeltà l’interesse aumentava. È solo un caso?
Naturalmente no. Io credo che il romanzo tenti di sviscerare le diverse infedeltà presenti nell’uomo. Non tutti, sarebbe impossibile farlo per ragioni connaturate alla natura di una narrazione. Proprio per questo un romanzo non potrà mai essere considerato come un trattato di psicanalisi, o di sociologia o di politica. Però, avrai notato leggendo L’infedeltà, il tradimento amoroso è solamente una delle parti della narrazione.

Però chissà perché il lettore leggendo il titolo immagina subito quello.
Sono d’accordo, ed è normale in un tipo di società che ha ristretto l’uso del vocabolario a poche parole dai significati standardizzati. Oggi che ogni struttura mediatica è impegnata ad annullare la capacità critica dell’individuo, capita che i termini vengano impiegati in riferimento a una utilità diretta. Il tradimento, le corna, sono il materiale più immediato su cui convergono i diversi messaggi, pubblicitari o narrativi sul modello delle fiction televisive e delle telenovela. Inondati come siamo, è perfettamente normale che si finisca per pensare come il sistema impone. Ecco allora che diventa meccanico, appena si legge una parola, ridurne i significati fino a rinchiuderla nei recinti della banalità.

E qual è l’infedeltà più praticata delle persone?
Quella della mente, non ho dubbi. La realtà riserva ben poche emozioni se non le si contrappone un’esistenza immaginaria, costellandola magari di desideri e di realizzazioni virtuali.

In questo ci aiuta la televisione, non credi?
Tutt’altro! La televisione rende più grama l’esistenza facendo credere che solamente stando dentro lo schermo si è qualcuno. Al di fuori invece si è soli. Là tutti sono belli, ricchi, brillanti e hanno successo. Per cui mi chiedo con quali occhi, dopo avere visto tanta perfezione, si riesce la sera a guardare il proprio partner. Con una cultura simile l’anonimato diventa difficile da sopportare. In fondo è anche il messaggio sfruttato dalla pubblicità.

In che senso?
Nel senso che non produce solamente gente famosa bensì anche e soprattutto "testimonial". Il messaggio in sintesi è questo: tu sei un poveraccio, mentre questo è ricco e famoso. Guarda l’orologio che ha al polso. Se vuoi uscire anche tu dalla fascia dei poveracci devi comprare quell’oggetto. È in questa sorta di transfert che si gioca tutta la pubblicità. E tu che fai? Lo compri. Non è già questa, in fondo, una forma di infedeltà per noi poveri mortali. Ogni messaggio viaggia su questo, e non solo negli spot. Una volta creato il linguaggio, tutto diventa pubblicità.

Ritorniamo all’infedeltà così come appare nel tuo romanzo.
L’infedeltà da cui prende il titolo il libro è solo uno dei temi narrativi. È quello dà cui ha origine l’intreccio. Essa si evidenzia non nel tradimento, che quando avviene ha la leggerezza della completezza dell’essere e non già dell’inganno, ma nel ragionare sull’abitudinario vivere l’amore di coppia che incapsula le persone in ruoli stabiliti da cui poi cercano di uscire. L’infedeltà è mentale, in quanto l’essere non è la specificità di essere marito e moglie, ma anche altro che l’usura della consuetudine nasconde. Questo altro può affiorare come un desiderio di libertà, che vada oltre i canoni usuali, qualcosa che accende la passione, come nuovo entusiasmo d’amore. È questo un ritrovarsi e un rinnovarsi. La vera infedeltà è anche proporre al partner false maschere in una dimensione etica con il timore di non ritorno, come per Marzio, il protagonista del romanzo. L’infedeltà è la ricerca di libertà di affermare il proprio Io in una dimensione estetica, di imprevedibilità, come per David, l’altro protagonista maschile che si contrappone a Marzio.

Ecco, parliamo dei due protagonisti maschili. Perché nelle loro diversità caratteriale e di scelta di vita, appaiono entrambi infelici, in preda all’angoscia e all’insoddisfazione?
Marzio ama, si sposa, si annulla nella compagna, si riduce in un ruolo che non dà nuovi slanci né felicità. David ama, ma conserva il suo Io, la sua imprevedibilità, non si sposa ma si sente in colpa. Il rischio per entrambi è l’angoscia: angoscia di avere ma non di essere, angoscia di essere ma non di avere.

Infatti l’angoscia è l’altro tema esplorato sul filo della logica e che è strettamente legata all’amore come perdita d’identità. Cosa mi dici?
Eh, l’identità… Basta poco per perderla: una palla senza una elle (qui Pozzi si riferisce a uno dei momenti più poetici del suo romanzo, ndr) diventa pala e la bella rotondità giocosa diventa strumento per scavare una fossa. Un padre al di fuori delle mura domestiche non è più lui; una moglie che si incontra per strada perde i connotati usuali e diventa un’altra donna.

Fin qui i personaggi maschili. Però l’infedeltà nel romanzo non viene praticata solo da loro. Alla fine appaiono delle differenze anche nel modo di tradire. È un caso legato ai personaggi che hai scelto, o è connaturato alla diversa natura dell’uomo e della donna?
Ecco il punto! L’errore sta nel pensare che esista un solo tipo di infedeltà, la stessa per l’uomo e per la donna. Non è così, a mio modo di vedere, e in questo senso i personaggi non sono legati alla storia in virtù del loro carattere, bensì in quanto archetipi delle essenze dell’uomo e della donna.

Ti riferisci al diverso modo che hanno di relazionarsi con l’altra persona?
Esatto. Non è solo un luogo comune dire che uomo e donna sono sentimentalmente diversi. In questo l’uomo è piuttosto mediocre nel bene e nel male, nel senso che non sa amare profondamente, ma alla stessa maniera non sa nemmeno odiare. Cose che invece riescono alla grande e in maniera spesso spettacolare nel caso della donna.

E questo, secondo te, perché?
Perché la donna investe sempre tutto in amore. Naturalmente parliamo sempre per linee generali. Quando la donna parla di condivisione, l’uomo non sa nemmeno cosa lei voglia dire. E questo perché l’uomo, in un rapporto cerca il riconoscimento di se stesso; vuole qualcuno per essere il centro del mondo, salvo poi lamentarsi di questa condizione quando la donna si dice insoddisfatta del rapporto. La donna, invece, quando cerca condivisione lo fa anche con piena disponibilità di cambiare essa stessa allo scopo di crescere. Insieme, però; e in questo dimostra grande malleabilità. L’uomo invece non ama i cambiamenti, adora le proprie convinzioni che lo cullano dandogli sicurezza. Solo che finisce per dimostrare la sua inguaribile insicurezza. Ma bada, questa tipicità caratteriale non vale solo per l’amore. Visto che stiamo parlando di un libro ti porto un esempio di tipo, diciamo, editoriale. La letteratura è per sua natura territorio di ambiguità perché solleva domande e non dà risposte; suo dovere è illuminare le zone d’ombra della società e dell’individuo e in questo risiede la sua funzione intellettuale; da un romanzo, che sia degno di questo nome, puoi solo avere dubbi e mai delle risposte. E infatti, in grande percentuale sono le donne le vere fruitrici della letteratura. L’uomo in linea di massima non legge. Tutt’al più ti capiterà di vederlo con il giornale in mano e, guarda caso, quel quotidiano che la pensa come lui, che non lo scuote dalle sue certezze. Perché non vuole, non gli interessa.

È una forma di paura, o sbaglio?
Ma l’uomo, in amore, è un grande vigliacco. Se non vuoi vederlo crollare non chiedergli mai di essere sincero. Lo devi interpretare, leggere nelle sue parole.

Uno dei momenti più divertenti dell’incontro di poco fa è stato proprio la citazione di alcune espressioni tipiche dell’uomo e la giusta interpretazione che bisogna darne. Ti spiacerebbe ripeterle?
(Ride.) Le frasi classiche sono tre: «Ti voglio bene ma non ti amo», che significa: ti voglio lasciare ma non ne ho il coraggio. «Sono in crisi», che significa: ho un’altra. E l’ultima che è un sempreverde, «Non vediamoci per un po’», che vuole dire: fammi provare come va con l’altra e se non mi trovo bene torno da te.

Ma sono tutti così gli uomini?
Tutti, tranne il sottoscritto.

Nel romanzo sembra esserci un personaggio chiave con cui tutti inevitabilmente finiscono per confrontarsi. Si tratta di David. Cosa rappresenta?
L’uscita dagli schemi. Nel romanzo è spiegato con la metafora del casinò, funzionale a chiarire perché l’uomo per vivere schematizzi la realtà organizzando la propria umanità all’interno di regole sociali, civili e religiose. Il che può non essere un concetto condannabile. Lo diviene se poi ci si dimentica di avere attuato questa schematizzazione. Qui avviene un’altra forma di infedeltà. Nell’economia della trama, invece, David rappresenta per Marzio l’idea di conservare la libertà; per Norma invece David è un amore che la blocca nel raggiungimento dei suoi obiettivi e che la costringe a fuggire per non morire, mentre per Chiara serve a dimostrare a Marzio che il tradimento è ritrovarsi e non perdersi. Il problema è che David sperimenta su se stesso che essere liberi non significa automaticamente essere appagati, essere liberi significa forse rinunciare a qualcuno che possa essere un punto fermo nella vita; forse significa essere sempre insoddisfatti.

Tuttavia in fondo c’è una soluzione all’angoscia del gioco delle parti. La soluzione la trova Chiara, ma tu non le hai mostrato gratitudine. Nel momento stesso in cui lei ha concretizzato la soluzione, che il marito intellettuale ha involontariamente indotto, le hai spento la fonte d’ispirazione. Allora mi chiedo, cos’è la felicità?
La felicità è concretezza, non metafisica, il che è un invito a non pensare. Chi si sente appagato non ha bisogno di altro. L’amore allo stato nascente genera appagamento. L’innamorato non pensa, gode dell’attimo a sua disposizione. Solo la passione può far raggiungere in momenti sparsi della vita la felicità. Il problema è che il binomio passione/felicità non dura una vita, è composta di momenti e non può raggiungere l’amore eterno, quell’amore che per concretizzarsi ha bisogno di approdare formalmente alla convivenza o al matrimonio. Eppure… eppure ciò che convenzionalmente è amore/matrimonio, con il tempo, fa assumere agli amanti un’identità in funzione del ruolo di marito o di moglie, che non è l’intero essere dell’individuo, ma solo la parte che riguarda il ruolo che svolge.

Allora non bisogna pensare alla felicità. È questa la soluzione?
Ma questo è impossibile! La ricerca della felicità è una tensione insopprimibile, come il desiderio della libertà di "essere in se stessi" e non in funzione dell’altro. La non felicità genera la noia. Questo agitarsi in uno stato di ricerca della felicità e dell’amore mette tutti i personaggi in uno stato di moto perenne, ma è un falso muoversi che in realtà non approda da nessuna parte. David e Chiara, due libertà che si incontrano, non raggiungono la felicità e l’amore.

Allora il vero amore e la vera felicità sono nel ricordo?
Diciamo che il ricordo fissa nel passato gli avvenimenti e ha il pregio almeno di renderli immutabili.

Allora, ricapitolando: il problema sollevato dal romanzo sta nel comprendere cosa significhi infedeltà, se e come queste due coppie possano raggiungere la felicità, e come possa l’amore essere eterno. Sei d’accordo?
Sono d’accordo sul fatto che il problema alla fine resta sempre un problema.

Parliamo invece della tua scrittura. Cosa dici a chi ti taccia di kunderismo?
Se ho voglia di prenderlo come un complimento incasso il commento. Ma siccome non vuole esserlo, rispondo che non ha capito niente del libro. Che io non scrivo come Kundera, ma che anzi ne sono stilisticamente molto lontano lo dimostra il mio primo romanzo Il corpo e l’abbandono. Il fatto è che L’infedeltà si divide idealmente in due parti. La prima ha un andamento quasi saggistico. Dico quasi perché un saggio non ha personaggi. È percorsa da digressioni che hanno come scopo quello di smantellare i luoghi comuni che popolano le opinioni sull’amore. Vengono analizzati i personaggi nei loro rapporti ed è vero che appare chiaro da subito che i protagonisti non sono realmente esistenti, ma una sorta di identità da laboratorio. Questo, lo riconosco potrebbe animare sospetti di kunderismo. Ma nella seconda di queste due parti ideali, i protagonisti si liberano dal giogo cui li avevo sottoposti, si liberano cioè dalla mano dell’autore e cominciano a vivere. E vivere vuole dire sbagliare, purtroppo. È probabile che la prima parte possa disorientare il lettore, ma mi sento di potere affermare che il piacere che deriva dalla lettura della parte "più narrativa", è forse dovuto alle trappoline che ho sistemato qua e là tra una digressione e l’altra.

Un romanzo per lettori, quindi?
Ho capito cosa intendi dire e, con finta polemica, ti rispondo che un romanziere scrive per i lettori.

 

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