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Alice Rivaz
di Grazia Regoli Singolare destino, quello di Alice Rivaz: singolare il suo destino
di donna e ancor più quello di scrittrice. Una vita lunghissima,
che attraversa tutto il Novecento, quasi interamente trascorsa sulle
rive del lago Lemano, tra Losanna e Ginevra, divisa tra il lavoro
accanito presso una grande istituzione cosmopolita come il Bureau
International du Travail e l'urgenza della scrittura, più
volte intrapresa e interrotta, in sofferto equilibrio tra l'apparente
obbedienza a profondissimi legami familiari e la trasgressione di
una libertà interiore e personale ostinatamente coltivata. Nata nel 1901, a Rovray, nel cantone di Vaud, figlia unica teneramente
amata, Alice trascorre l'infanzia a Clarens, dove il padre, il militante
socialista Pierre Golay, "sempre immerso nelle Sue-Idee",
è insegnante elementare. Con la madre, donna energica e generosa
di profonda fede calvinista, intreccia un rapporto quasi simbiontico
che segnerà tutta la sua vita: "Mi sentivo troppo bene.
Come un pesce nell'acqua. Lei era l'acqua". Quando, nel 1909,
nonostante l'opposizione della moglie che paventa lo scandalo e
la perdita della sicurezza economica, suo padre lascia l'insegnamento
per dedicarsi alla politica e diventare redattore di un giornale
operaio, la famiglia si trasferisce a Losanna. Gli ideali socialisti
infiammano anche la piccola Alice, che conserverà sempre
un'attenzione acuta e partecipe per le problematiche storico-sociali. Affamata d'indipendenza, per guadagnarsi da vivere in modo più sicuro frequenta un corso di stenodattilografia, grazie al quale, nel 1925, è assunta al Bureau International du Travail di Ginevra, uno degli organismi internazionali sorti nel dopoguerra. Prima dattilografa, poi archivista, infine redattrice, trascorrerà al BIT l'intera carriera lavorativa. E proprio nel mondo delle istituzioni internazionali si muoveranno molti dei suoi personaggi. Perché nel 1940, approfittando del periodo di forzata inattività causato dalla seconda guerra mondiale, Alice ha finalmente il tempo per scrivere e per terminare il suo primo romanzo, Nuvole fra le mani, in gestazione già da qualche anno. È lo stesso Charles-Ferdinand Ramuz, il grande narratore romando, a incoraggiarne la pubblicazione presso la Guilde du Livre, ma le reazioni negative dei genitori, molto critici nei confronti dell'insospettata vocazione della figlia, inducono Alice a scegliersi uno pseudonimo: nasce così la scrittrice Alice Rivaz. Nuvole fra le mani è ambientato a Ginevra verso la fine degli anni '30: nell'arco di una giornata di lavoro si intrecciano i sogni, gli ideali e gli amori di un gruppo di giovani impiegati. Vittime delle loro illusioni, imprigionati in un'inesorabile quotidianità, gli inquieti protagonisti sono incapaci di trattenere le "nuvole fra le mani", mentre sullo sfondo incombono gli orrori della guerra di Spagna. La scrittura, anticipando il Nouveau Roman, segue il filo di pensieri e sentimenti e traduce la vita interiore in immagini, gesti e sensazioni corporee. Accanto al tema della vocazione mancata si affaccia quello dell'incomunicabilità fra i sessi, mentre il punto di vista femminile trova accenti inediti: "Lo guardò... Il suo pomo d'Adamo saliva e scendeva. E la pelle che lo ricopriva assomigliava a quella di una gallina spennata. Il suo mento era molle e mal rasato... Lo amava ancora? Cosa mai avranno gli uomini perché li si ami tanto, benché siano così brutti? Così brutti, con quelle gambe ossute e pelose e quei piedi nodosi... E invece sono sempre così fieri delle loro anatomia! E tutta quella bruttezza, bisognava proprio sentirla vicinissima, toccarla, stringerla... e per essere felice, tranquilla, appagata, bisognava esserne toccata, stretta, addirittura schiacciata. Era incredibile!". Nello stesso periodo collabora a vari periodici, finché, nel 1945, pubblica sulla rivista "Suisse contemporaine" un testo che ancora oggi appare rivoluzionario. Tre anni prima de Il Secondo Sesso di Simone de Beauvoir, Un popolo immenso e nuovo denuncia l'assenza delle donne dalla produzione letteraria e rivolge un appassionato appello alle donne perché impugnino la penna in prima persona ed esprimano finalmente la loro diversità: "Che cosa aspettiamo per dire a nostra volta? Lasceremo sempre al genio maschile il compito di delineare i nostri ritratti, di descrivere il cammino della nostra mente, i segreti della nostra sensibilità, le passioni del nostro corpo?" E senza piegare la propria femminilità alle forme tradizionali della parola maschile, perché se gli scrittori "disincarnano e trascendono", le donne invece, "immerse nella materia, alle prese con il limo originale... le donne incarnano". Nel 1946, a Parigi, appare il suo secondo romanzo, Come la sabbia, che ripropone l'ambiente cosmopolita delle istituzioni internazionali ginevrine alla fine degli anni venti. Questa volta il soggetto principale è l'amore: "C'è mai una vera ragione per cui prima si ama, e poi non si ama più?" e "Di quale amore si guarisce mai del tutto?". Ma il gioco sottile delle relazioni umane si dispiega attraverso l'alternarsi dei punti di vista e la pluralità dei temi: dall'incomunicabilità sentimentale - donne vittime di amori negati, prigioniere d'interrogativi che uomini sfuggenti e silenziosi lasciano senza risposta - alla ricerca dell'identità personale; dalla frustrazione per una vocazione mancata alla denuncia delle diseguaglianze sociali e della marea montante dell'antisemitismo. L'acutezza e la profondità di uno sguardo femminile caratterizzano già la scrittura di Alice Rivaz, ma è con il romanzo-pamphlet La paix des ruches (1947, La pace degli alveari) che esplode la requisitoria contro la prigione dell'universo maschile, anticipando i grandi temi della riflessione femminista europea: "Eravamo donne innamorate, ed hanno fatto di noi cuoche e casalinghe... Sì, gli uomini dovrebbero diffidare. Dovrebbero pensare più spesso al prezzo pagato per la pace degli alveari." Inaspettatamente, il libro piace a suo padre, diventato un prestigioso dirigente socialista (è sua la scritta sulla fascia di copertina: "Uomini! Sapete cosa loro pensano di voi?"), ma la critica, fino ad allora benevola, non apprezza: trova che sia volontariamente parziale! Nel 1948, con la ripresa dell'impegnativo lavoro al BIT, comincia un lungo periodo di silenzio, quattordici anni senza scrittura, immersi in dolorose vicende familiari. Nel 1951, alla morte del padre, cui sono dedicati due dei Racconti di memoria e d'oblio, la madre già molto malata si trasferisce nell'appartamentino della figlia. Sette anni di convivenza strettissima, in un intreccio inestricabile di amorosa dedizione e angoscioso risentimento. Ormai cinquantenne, Alice è costretta a rinunciare alla preziosa indipendenza che le ha permesso di vivere liberamente la sua inquieta vita sentimentale e la sua passione letteraria, proteggendole dal severo moralismo materno. La signora Golay muore nel 1958 e l'anno successivo, grazie al pensionamento anticipato, Alice riprende a scrivere con ritmo incredibile, come per riguadagnare il tempo perduto. Nel 1961 escono i racconti di Sans Alcool, tredici storie
di grande intensità: amori perduti o immaginati, solitudini
e disinganni, creature ferite alla faticosa ricerca del senso di
un'esistenza troppo avara, che la scrittrice illumina con acuta,
impietosa consapevolezza. Il 1966 è l'anno di Comptez
vos jours (Contate i giorni), straordinaria
riflessione autobiografica in undici "stazioni", attraverso
la vita di una donna alle soglie della vecchiaia: "Nessun figlio,
nessuna figlia. Nessun marito... E nessun uomo che sia stato solo
mio". Il rapporto con la madre, l'amore, la depressione, la
solitudine, il bilancio dell'esistenza e il pensiero della morte:
"Sono solo una vecchia orfanella in cerca di tesori perduti". Nel 1968 esce L'alfabeto del mattino, romanzo autobiografico di grande felicità narrativa, la storia di un'infanzia, un viaggio nella formazione della coscienza attraverso lo sguardo "dal basso" di una bambina: "La via della perfezione è disseminata di trappole per quei mostri disumani e anormali che sono le bambine troppo obbedienti che non mettono mai il broncio, le piccole fenici che non dicono bugie né parolacce, i topolini così buoni che non li si sente neppure". I Racconti di memoria e d'oblio, del 1973, ci svelano la faccia nascosta della normalità in un universo di umiliati e offesi: donne sole, anziani, bambini. Nessuna illusione consolatoria sulla durezza della condizione umana, ma una sofferta, indignata partecipazione, un'adesione appassionata, a tratti venata d'ironia, alle ragioni dell'esistenza a partire dai suoi dati più concreti e quotidiani. È forse con l'ultima grande opera narrativa, Getta
il tuo pane, pubblicata nel 1979, che l'evoluzione
stilistica di Alice Rivaz raggiunge il punto più alto. Autobiografico
romanzo della memoria, quasi una summa di tutte le sue
tematiche, concentra in due notti insonni l'intero arco dell'esistenza
di una donna. Un magma di ricordi, immagini e riflessioni che trova
il proprio senso nel fluire liberatorio della scrittura. Perché
"Quel che conta (lo sente), quel che vale, è inafferrabile.
Un segreto, un tesoro, un non so che, simile alla polvere multicolore
delle ali di farfalla. Una sorgente rimasta nascosta. Da lasciare
inviolata, da proteggere, da rispettare. Suggerirla soltanto. Sapere
che esiste e che, in ultima istanza, è l'unica cosa che conta". Nonostante gli ostacoli e le interruzioni della sua lunga carriera letteraria, Alice Rivaz ha sempre goduto della stima di buona parte della critica, che le ha più volte attribuito premi di rilievo, ma soltanto nel 1996, in occasione del suo novantacinquesimo compleanno, è stata ufficialmente celebrata come una delle grandi signore della letteratura europea. Anche se lei, ormai rinchiusa nella casa di riposo dove aveva sempre temuto di finire la sua esistenza, confessava con civetteria di non ricordare più nulla dei suoi libri! Oggi un pubblico nuovo può apprezzare l'originalità innovativa della sua opera e riconoscersi nell'audacia e nella determinazione che ha saputo esprimere nella vita e nella scrittura. Grazia Regoli |
Alice Rivaz Getta il tuo pane
Christine è una donna di cinquantasei anni che
non si è mai sposata. Lavora come impiegata e nel corso della
sua vita sembra aver fatto pace con la sua solitudine. Gli unici amici
che le sono rimasti sono gli uomini che ha amato e che in passato
l’hanno fatta soffrire… Questo suo equilibrio sfuma quando
sua madre diventa vedova e lascia Losanna per raggiungere la figlia
e vivere per sempre con lei a Ginevra. Di fronte a questo ricatto
morale, Christine combatte con il suo senso del dovere che le impone
di prendersi cura della madre, soffocando il proprio risentimento
nei suoi confronti. |
Alice Rivaz Il cavo dell'onda
Quando l'amore non sboccia e rimane idealizzato, entrano in gioco le paure. In questo romanzo, Alice Rivaz ne mostra le ombre lunghe e non esita a esplorare le situazioni comiche, felici o tragiche che ne derivano. Opera della maturità artistica, Il cavo dell'onda, seguito di Come la sabbia (1946), è stato pubblicata solo ventuno anni dopo, come se Alice Rivaz avesse voluto prendersi il tempo e la distanza necessari per comprendere la situazione dell'Europa pre-bellica. Le sue profonde analisi delle aspirazioni e degli errori dei protagonisti possono essere letti indipendentemente dal romanzo che lo precede. Soprattutto se piacciono i contrasti creati dalla neve in primavera. |
Alice Rivaz Come la sabbia “Straordinaria, ineguagliabile Alice Rivaz,
riesce a nominare l’impresentabile della vita di donne e uomini
in poche pagine, quando altre e altri lo fanno, senza la stessa forza
e felice spudoratezza in poderosi saggi.” Questo secondo romanzo di Alice Rivaz, apparso nel
1946, ci invita a seguire, durante una manciata di giorni e notti
dell'inverno del 1928, l’esistenza di alcuni funzionari che
lavorano in un organismo internazionale a Ginevra. Le scelte private,
le aspettative tradite, le passioni brucianti dei protagonisti, in
special modo di Hélène Blum e André Chateney,
costituiscono un palcoscenico illuminato dietro il quale si muove,
implacabile e sinistra, la Storia. Cieca e sorda alle istanze collettive
che pure passano tra le sue mani, sotto forma di relazioni su scioperi
e proteste in gran parte dell’Europa, una collettività
privilegiata, al riparo dalla “disgrazia che bussa alle porte
dei loro vicini”, come scriverà Rivaz nel 1966, desidera
la propria felicità in termini individuali, come se il mondo
al di fuori dell’ufficio e delle relazioni private non fosse
che un’entità astratta. |
La pace degli alveari “Per me Alice Rivaz è una vera sorella
di femminismo”
“Credo di non amare più mio marito”.
Così si apre il diario segreto di Jeanne Bornand, moglie e
lavoratrice, donna che è stata amante e amata e che si ritrova,
ancora giovane ma vicina a non esserlo più, faccia a faccia
con la sua estraneità alla vita cui le sue scelte l’hanno
condotta. A finire implacabilmente sotto accusa è il matrimonio,
nella sua prosaicità, nel suo insanabile scollamento dall’amore,
ma una volta cominciato sembra che Jeanne non riesca più a
fermarsi. L’intera società degli uomini, di cui le donne
sono al tempo stesso vittime e complici, finisce sotto la sua critica
spietata, tanto più feroce perché tinta della più
lucida ironia. |